Il giorno due di INmusic festival a Zagabria, ossia martedì 21 giugno, è meno sostanzioso del primo per quanto riguarda il numero di artisti che si seguiranno, ma sarà il più emozionante e il più vissuto a livello psicologico di tutti e quattro i giorni di festival.
L’headliner della giornata sarà Nick Cave con i suoi Bad Seeds, coloro che mi “impediranno” di andare a sentire i Dry Cleaning presso l’Hidden Stage verso l’una di notte.
Con molta calma, si ascolta qualche traccia World Music, Jazz e Blues, grazie alle sonorità – proveniente dal Mali e non solo- di Amadou e Mariam.
Non la mia tazza di tè, ma molto coinvolgenti e ad accompagnare la coppia ci saranno degli ottimi polistrumentisti: per arrivare a Nick Cave occorre attendere ancora un po’.
Tra un palco e un altro, alla fine si ritorna al Main Stage, dove a esibirsi ci sono i White Lies: non intendo assolutamente coinvolgere pure questi in un discorso tutto mio e penalizzante nei loro confronti.
Tuttavia, anche per quanto riguarda la band di Londra, posso affermare una cosa: non li vedo da più di dieci anni e non ho mai più avuto quel coraggio di prendere su e andare a un loro show.
Già il fatto che Harry McVeigh si presenti sul palco sorridendo è un punto al loro favore: forse, in questi anni, sono cambiati un pochino.
Devo sopravvivere a loro per arrivare a Nick Cave, quindi avere pazienza.
Il gruppo inizia lo show, abbastanza freddino nel complesso, con “Farewell to the Fairground” che, tuttavia viene eseguita meglio e oltre le aspettative e viene cantata da parecchi del pubblico.
In setlist compaiono anche ” To Lose My Life”, “Unfinished Business” e la finale “Bigger than Us”.
Il pubblico li canta con un entusiasmo tale che -quasi- mi fa credere che siano migliorati: l’esibizione, nel complesso, risulta piuttosto anonima, forse un po’ troppo sottotono e bassa (e non è una questione di acustica) per quanto riguarda la vocalità del frontman.
Due ore e un quarto di concerto: Nick Cave and the Bad Seeds.
Vorrei davvero provare a scrivere nella maniera più dettagliata possibile questo show, così come vorrei cercare di essere il più oggettiva possibile.
Al pubblico di INmusic scendevano le lacrime ogni volta che lui, il protagonista assoluto di questo festival, si avvicinava e ci prendeva la mano: in mezzo a questo tsunami di emozioni c’ero anche io.
Le montagne russe: tracce esplosive mescolate a una “O Children”, riempita dai cori delle tre voci soul, oppure a una “I Need You” o una “Waiting for You”, entrambe in crescendo e spuntate fuori all’improvviso, che ti spezzano il cuore, perché, sì, ero lì nelle prime fila e mi sono messa a fissare lo sguardo di Nick Cave, emozionato quanto noi, con questi occhi espressivi e luminosi.
Vorrei provare a descrivere le sensazioni provate per ogni singola traccia eseguita quella sera, ma mi è impossibile: non so, è come se un individuo andasse a vedere Paul McCartney e provasse a scrivere una recensione. Stiamo scherzando?
Nick Cave e la sua band ti prendono per mano e ti accompagnano in un oceano fatto di emozioni umane: non sto parlando di cose sovraumane, perché questo frontman è reale, è tra noi e con questa sua voce baritonale- gutturale, lo sappiamo, si comporta da Druido.
Conosciamo i suoi testi dotati di una forte tensione -anche religiosa- e mirati all’apocalisse, oltre a quelli dediti a vecchi amori oramai andati perduti e un’angoscia esistenziale che strazia corpo e mente, ma quest’uomo è in grado di salvare il suo pubblico proprio perché questo suo atteggiamento lirico ci cattura e ci libera da ogni male.
Passano “Bright Horses, “Tupelo”, “Red Right Hand e “Into my Arms” e come un fiume in piena ci travolgono, ma, contemporaneamente, riescono a farci respirare.
Che dire: Nick Cave è il nostro esorcista personale e i Bad Seeds sono i fedelissimi che creano un’atmosfera perfetta per questo rito liturgico, certamente molto gotico e post punk.