WHALE FALL di Damon Arabsolgar è il disco più personale che avete sentito nel 2024 (ma probabilmente anche nel 2025)

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Probabilmente lo avete già sentito nominare, per il suo percorso con il Pashmak, in cui già percipavamo un insistente germe del voler emergere con il suo personalissimo stile lirico, metaforico, onirico, vorace, con brani in italiano come “Laguna“, e successivamente anche con i Mombao, passati anche da X-Factor, con la loro aurea sciamanica, esoterica ed ossessiva. Ma qui dentro, Damon si spoglia di tutto e di tutti per essere semplicemente sè stesso: un disco dalla gestazione lunghissima, tenuto segreto nel corso degli anni, con la paura di raccontarsi ed esporsi. “Whale Fall” è un azzardo di Damon Arabsolgar, una dichiarazione di intenti, un sondare il terreno quasi a volersi rispondere: “Se vi dico davvero chi sono, e sono una balena che sta affondando, mi vorrete lo stesso?

La Caduta della Balena”, che dà il titolo a questo disco di debutto solista, è il fenomeno in cui un cetaceo di grandi dimensioni, morendo, scende lentamente a testa in giù, adagiandosi in una dorsale medio-oceanica, il punto più profondo della terra. Lì giace, dove le temperature sono abbastanza basse da conservarne la carcassa per molti anni e permettendole quindi di diventare il centro attorno a cui si crea un ecosistema di pesci abissali.

E ci addentriamo qui in un mix unico di generi, di lingue. Perchè Damon passa dall’italiano all’inglese con una naturalezza incredibile, dando comunque il sentore di unicum ad un disco che è una storia, la sua. C’è la psichedelia, non quella di perdizione ma quella di sacralità, c’è un disco che si muove “Sui confini” di tutto, dell’alternative rock, del folk, e di tantissimo altro, dove Damon, timido, sussurra (si filtra e si effetta!) senza mai esplodere nella sua voce che sappiamo bene avere, fortissima e riconoscibile. “Whale Fall” è una confidenza per pochi, quei pochi che vogliono ascoltare e conoscere, che sono anche un po’ invadenti e stronzi, che del dolore altrui si fanno anche morbosi e insistenti, e qui dentro sembra essercene veramente tanto di dolore.

Ci immaginiamo un pianoforte abbandonato, su cui Damon magari ha passato la quarantena, una quarantena infinita ben al di là di quella che intendiamo noi, di quel 2020 che sembra di quattro vite fa, c’è un amore passato, forse mai stato, di una “Nitida” che non è mai stata così chiara come quando è stato fissato questo brano: un riassunto di otto anni di storia, quelli dove si cambia di più, dove non si torna più indietro e qui dentro abbiamo la fortuna di poterlo ascoltare, perchè Damon, al contrario delle nostre adolescenze tardive di noi tutti altri, ha deciso di scrivere qualsiasi cosa.

Un album che è tanto, denso, a tratti pretenzioso. Chi è Damon Arabsolgar per suonare così, alto e sacrale? Che a tratti ci fa sentire a disagio, perchè di questi labirinti sonori e di parole, non capiamo tutto, abituati ai singoloni del venerdì, così limpidi e chiari e che non richiedono sforzi. Ma il bello di “Whale Fall” sta proprio qui, nel sapersi abbandonare, affondare, come quella balena del titolo, alla vita di uno sconosciuto, un diario confuso di appunti che prendono una forma sotterranea, che scorre veloce e che ci lascia con l’amaro, e l’amore, in bocca.

Bello, e (proprio per questo?) non per tutti.

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