Recensioni: Songs For the Present Time, il terzo album di Tobia Lamare

0

Tobia Lamare è il nome d’arte di Stefano Todisco, musicista salentino, cantautore e autore di colonne sonore tra cui quelle  di “Ius Maris”, film presentato e applaudito anche alla Mostra del Cinema di Venezia dello scorso anno.
Nelle vesti di cantautore per Lobello Records, ha registrato il suo terzo album da solista dal titolo “Songs for the present time”, disco composto da 9 tracce nelle quali un ruolo rilevante, oltre ai testi, è rivestito dalla parte strumentale, che spazia dai fiati agli strumenti corda fino alle percussioni per riuscire così a inglobare più generi possibile e “sfruttare” l’apporto di altri musicisti della scena italiana. Da notare sono sicuramente le tracce: “The Big Snack”, ”Endless” e “My Flavia’’ in cui Lamare,  si è occupato dell’intera parte strumentale.
“Songs for the present time’’ è un disco come se ne sentono pochi in Italia, sembra infatti derivare direttamente da radici blues, rock e country degli autori americani degli anni ’60, avvalendosi di strumenti reali: niente elettronica e synth, ma “solo” reali strumenti accostati e padroneggiati per riempire ogni sfumatura dei testi.  Per questo i principali riferimenti sono stati i primi lavori di Bruce Springsteen, Van Morrison e Bob Dylan da cui deriva la linea più folk di “My Flavia’’ e Love “Means Trouble”.
Il disco si apre con “Dada”, che forte di una ritmica incalzante invita a tenere duro, a scegliere la vita e l’amore nonostante tutto (se cose to live and love, no matter where we go). Testo senza retorica, che mette il luce l’obiettivo del disco scrivere si canzoni d’amore, ma amore in senso universale, che siano anche canzoni di vita e per la vita, non solo sdolcinato amore.
Altro tema rilevante del disco sono le esperienze vissute durante i tour e quindi i viaggi,  la lontananza, le diverse culture; tutto questo viene vissuto con una leggera nostalgia di cui si fa portavoce “Endless”, dai toni rock e blues, un testo ritmato che fa pensare al tepore ma anche alla inconscia tristezza di una sera di fine estate.
Curiosa è la scelta della quinta traccia che è trasposizione in musica di “Ode to the West Wind” di Percy Shelley; una messa in musica decisamente legata al folk, probabilmente un omaggio, ai venti e quindi al mare, elemento fondamentale per un autore così legato alla costa.
Tra le migliori tracce mi sento di nominare Love Means Trouble, in cui anche la voce assume diverse sfumature, quasi più sfacciata e My Flavia, per l’evidente legame con il cantautorato americano, in cui questo continuo riferimento ai “Big Blue Eyes” mi rimanda direttamente ai “Pale Blue Eyes” descritti da Lou Reed ai tempi dei Velvet Underground.
Un disco del tutto godibile quello di Lamare che fa forza sui suoi 20 anni di esperienza musicale anche oltre confine, nonché di una grande padronanza scenica; unica pecca del disco è che ci si potrebbe aspettare una piccola svolta, una sfumature più accesa che dia quel brivido in più, in un disco comunque bello e particolare dalle sonorità ampie e capace di integrare diversi stili e ottima musica.

Share.

About Author

Comments are closed.