The Who (Hits 50! Tour) @ Unipol Arena, Bologna

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Trovo che sia parecchio complicato mettermi davanti a un pc, riordinare i pensieri e scrivere la recensione del concerto vissuto la sera prima.
Oggi, però, è decisamente più difficile delle altre volte per vari motivi: prima di tutto non voglio e non posso trattare questa band col termine di “recensione”, ma bensì con un ricordo stupendo che, per non dimenticare e mantenere in vita, voglio scrivere da qualche parte; la seconda ragione è che nessuno di *noi* (mi riferisco a coloro che solitamente pubblicano resoconti musicali su blog, riviste, webzine…) può permettersi di giudicare una live band come quella di ieri sera.
Sabato 17 settembre ritornano in terra emiliana (Unipol Arena di Casalecchio di Reno), dopo ben 49 anni, i giovani settantenni, amici del cuore, Pete Townshend e Roger Daltrey, accompagnati da una line up straordinaria che comprende: Zak Starkey, alla batteria (niente a che vedere con lo stile del padre: il ragazzo ha un talento incredibile); Pino Palladino, al basso; il “fratellino” di Pete, Simon, alla chitarra; Frank Simes, Loren Gold e John Corey alle tastiere e ai cori.
“Restate calmi, arrivano gli WHO“: la scritta che compare sullo schermo, alle spalle dei musicisti, provoca, ovviamente, una reazione positiva tra le 17000-18000 anime, di tutti i generi e di tutte le età, presenti questa sera.

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L’entusiasmo è alle stelle e il concerto inizia con una travolgente ed energica “Can’t Explain”: sono le 21 e per ben due ore-e-tre-minuti verremo trasportati altrove, navigando tra i vari generi e le subculture che questa band ha influenzato ed è riuscita a trasmetterci, anche a distanza di anni.
“Nel ’72 è uscito uno dei nostri album migliori (“Who’s Next” o “Quadrophenia”?) e voi non eravate ancora nati”: Pete Townshend ce lo dice scherzando e con grinta, probabilmente osservando il pubblico più giovane, ma questo è un chiaro ed evidente segnale di quanto sia stato prestigioso il loro impatto sulla storia della musica e su quella delle persone.
Il concerto procede tra molti singalong e standing ovation, grazie a una setlist molto ben organizzata che ondeggia tra varie sensazioni, sonorità e periodi, oltre al fatto che di fronte si abbia una tra le migliori live band della storia: “The Kids Are Alright”, il crescendo di “Behind Blue Eyes”, “Bargain”, “You Better You Bet”, “5:15”, “Sparks”, “Pinball Wizard” e “See Me, Feel Me” sono alcune tracce della setlist in cui si perde la testa e la voce.
Il momento in cui “Perdiamo il cervello”, queste (o quasi) le parole di Pete Townshend, è quando ha inizio “My Generation”, nonostante un epilogo con “Baba O’Riley” e “Won’t Get Fooled Again” decisamente più avvincente e sfrenato.
Gli Who, inoltre, sono in grado di riportare sul palco, come se fossero ancora in vita, John Entwistle e Keith Moon, grazie alla devastante “Love, Reign O’er Me”, uno di quei brani che rappresenta pienamente quattro emozioni, quattro punti di vista e le quattro differenti personalità dei componenti: odio, rabbia, crisi esistenziale, schizofrenia, amore e rancore sono alla base di questa canzone e, anche in quest’occasione, Roger Daltrey tira fuori le palle con quel “love” ripetuto e urlato a pieni polmoni (ricordiamoci anche che ha 72 anni e saltella come un ragazzino).

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Le tracce eseguite questa sera ci raccontano la vita, musicale e non, di questa grande band che, grazie all’improvvisazione, alla complicità e all’esperienza senza eguali, sono più reali che mai, ben visibili e palpabili; anche lo schermo, alle spalle degli Who, vuole evocare ricordi ed emozioni, dato che frammenti di storia passano in rapida successione: da guerre, attentati e rivoluzioni si passa a balli sfrenati, prìncipi e principesse e ricordi di pub.
Alle 23, però, il vortice di emozioni e di sogni ad occhi aperti svanisce: “Won’t Get Fooled Again” termina e l’ennesimo ed ultimo boato da parte del pubblico si leva in aria.
Per tutta la durata dello show, Daltrey e Townshend ringraziano, comunicano e accolgono la reazione calda ed affettuosa del pubblico con molto entusiasmo, ma il loro massimo riconoscimento avviene a fine concerto, quando si fermano ancora qualche minuto sul palco, presentano la band e ci ripetono più volte un dolce e sincero: “VI ADORO”.
Per quanto abbia ancora tanta voglia di scrivere del concerto degli Who a Bologna, è inutile aggiungere altro: continuare a ripetere quanto siano stati straordinari e cercare di spiegare il loro live con altri aggettivi sinonimi al precedente è sempre e comunque troppo poco e banale.

SETLIST

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