Cappie ci racconta il suo nuovo singolo “Forse è il destino”, la collaborazione con Divi, Milano e la vita da musicista

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É uscito venerdì 15 novembre 2024 su tutte le piattaforme digitali il nuovo singolo di Cappie, che vanta la produzione di Davide “Divi” Autelitano (I Ministri) e Federico Carpita (Il Corpo Docenti). In “Forse È Il Destino”, questo è il titolo del brano, Cappie riflette sulla tensione tra desiderio e paura, esplorando il senso del destino come forza ambigua e inevitabile.

Il brano inizia con una domanda esistenziale: cosa cambierebbe se si potesse riscrivere il passato? Questa incertezza permea tutto il brano, riflessa nella metafora del “cielo terso” e delle “stelle” che, nonostante siano viste, restano irraggiungibili o fonti effimere di una guida (“le scopro sempre aerei oramai”). La vita è dipinta come una corsa “ad occhi chiusi verso un sogno”, dove la paura di risvegliarsi e perdere la propria via trattiene l’individuo in un mondo interiore. C’è un senso malinconico di impotenza, ma anche un’apertura alla possibilità che, superata “la notte fredda”, possa sorgere un’alba nuova. Cappie tocca qui l’intimo conflitto tra la sicurezza di un mondo immaginato e il desiderio di vivere autenticamente, suggerendo che, a volte, per quanto ci si possa sforzare di ricercare e creare il proprio destino, forse è il destino a trovarci.

Noi lo abbiamo intervistato, felici di vedere che Cappie e Mauro sono praticamente la stessa persona!

  1. La vita di Cappie si incastra bene con la vita di Mauro? Chi è Cappie quando non ha a che fare con la musica?

Nella mia vita la musica occupa una parte quasi totalitarai: quando non suono, la studio, sia dal lato artistico che industriale, ma anche in senso più lato, attraverso l’hobby della liuteria. Accanto a ciò ho un mio piccolo studio di registrazione e un progetto radiofonico con cui mi posso anche interfacciare con altre realtà musicali. Diciamo che oltre la musica, c’è ancora musica.

 

  1. A cosa fa riferimento il titolo “Forse è il destino”? Che cosa, nella tua vita, senti che è accaduto perchè scritto nel destino? Forse anche questo tuo percorso musicale rientra in questa narrazione?

Tendenzialmente sono una persona a cui piace prendere in mano la situazione e cercare di trovare la mia strada con una certa dose di proattività. Ciononostante, mi affascina come alcune cose trovano il modo di succedere al momento giusto, quasi come se appunto fosse scritto da qualche parte. Forse È Il Destino fa un po’ riferimento a questo e viene dalla mia esperienza in prima persona: ho lasciato la mia città, Bari, per trasferirmi a Milano e seguire una strada diversa, e piano piano sembra che tutto si stia incasellando al posto giusto, come se, appunto, fosse destino che compiessi quella scelta. 

  1. Nonostante i Maneskin, il rock sembra un genere musicale che non va più di moda e non riempie più i locali. Qual è la tua sensazione a riguardo? Hai mai pensato di “piegarti” alle logiche di mercato?

Non è un segreto che il rock non sia più un genere mainstream, con le dovute eccezioni. D’altronde vedo come la scena underground in tutta Italia si stia smuovendo e venga portata avanti da tante realtà musicali molto interessanti. Poi, il fatto che non vada più di “moda” tra le generazioni più giovani, non vuol dire che non riempia più locali e stadi, anzi. Per quanto riguarda il “piegarsi” alle logiche di mercato, non la sento una cosa molto vicina a me. Faccio musica come espressione di me e di quello che penso e sento: preferisco fallire in modo vero, che riuscirci facendo qualcosa che non sento mio. Chiaramente non vuol dire rimanere arenati, evolvere è giusto e sacrosanto. L’importante è farlo sempre tenendo ben a mente chi si è e cosa si vuole trasmettere di sé.   

  1. E qual è invece il tuo rapporto con i numeri, le playlist e il riscontro del pubblico? Per chi senti di fare musica, per te o per gli altri?

Faccio musica essenzialmente per me: sento di avere qualcosa da dire e l’unico modo che conosco per esprimerla è metterla in musica. Se qualcuno ci si ritrova in quel che dico, ne sono più che contento. I numeri e le playlist sono delle questioni che un po’ esulano dalla musica e includono tanti fattori diversi. È giusto guardarli ed è gratificante sapere di essere in tot playlist, ma c’è molto altro che non può essere messo da parte. Guardare solo ai numeri e dimenticarsi della musica è un errore. 

  1. Ci racconti il tuo primo incontro con Divi e Federico?

Il primo incontro con loro è stato del tutto randomico: ero ad un live di una band emergente al Rock’n’Roll di Milano e Divi (che li aveva prodotti) era lì per il concerto. A fine serata abbiamo scambiato due chiacchiere, mi ha presentato Federico e ci siamo scambiati i numeri. Di lì a poco gli ho mandato alcuni dei miei pezzi e il riscontro è stato buono direi. Tutto molto semplice, qualcuno direbbe che forse è il destino!

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