Live Report: Nothing @ Locomotiv Club, Bologna

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Il live report di oggi sarà diverso dagli altri, poiché partirà da un altro punto e non dall’inizio del concerto, come faccio di solito.

Negli ultimi anni mi sono ritrovata spesso e volentieri nelle liriche, nella rabbia e nel muro sonoro che costituiscono le canzoni dei Nothing, band di Philadelphia costruita dall’eccentrico Nicky Palermo e Brandon Setta.
Nel caso del concerto di questa sera, sabato 24 novembre al Locomotiv Club di Bologna, mi sento ancora più persa e presa dalla setlist proposta da questa band, in particolar modo quando il nostro amato frontman, a poche canzoni dalla fine del live, propone un brano di circa otto minuti che fa parte dell’ultima -disperata- fatica discografica della band “Dance on the Blacktop”“The Carpenter’s Son”.
Domenic presenta questa traccia con lo sguardo basso e consigliando al suo pubblico di tenersi stretto \ stare vicino alle persone a cui si vuole veramente bene, guardandosi, poi, quelle braccia tatuate tra vari “you know” quando parla di certi segni lasciati da una malattia che è sempre fin troppo sottovalutata.
L’ultimo lavoro discografico dei Nothing, e questo credo che già si sia detto più volte, è davvero pesante nelle tematiche: è ricco di esperienze negative, realmente vissute e alle volte troppo deprimenti; quando lo si ascolta pare quasi di cadere nel baratro. Tuttavia, i protagonisti di quest’oscura vicenda tentano, in particolar modo in occasione di un live,  di alleggerire o perlomeno cercare una via di fuga da questa mestizia: tra chitarre distorte e strimpellate, una base ritmica profonda e in continua lotta con questi mostri, un muro sonoro e queste voci sussurrate e mai sopra le righe, vi è questa rabbia, questa energia e un certo coraggio che tenta, in tutti i modi possibili, di trovare uno spiraglio di luce o un briciolo di speranza.
Proprio “The Carpenter’s Son”, per quanto lasci questo senso di amarezza nell’ascoltatore, fa riflettere e pensare a come liberarsi da quest’afflizione: il groppo in gola, almeno per quanto mi riguarda, resta comunque almeno fino a “(HOPE) Is Just Another Word With a Hole in It”, brano che precede l’encore.

La lotta dei Nothing, in particolar modo di Nicky, coi propri fantasmi è una tematica presente in tutto il corso del live: la band crea sonorità che si uniscono, si autodistruggono ed entrano in forte conflitto tra di loro; l’atteggiamento dei quattro elementi sul palco, oltre alla moltitudine di generi eseguiti (ho ancora ben presente le pareti del Covo tremare un paio di anni fa), ricordano esperienze musicali precedenti (punk-hardcore ne abbiamo).
Corde di chitarra che non resistono; riferimenti a ricordi Grunge, Punk e Hardcore che sarebbero potuti esplodere in veri e propri inni generazionali contro un disagio generalizzato (“A.C.D”, “Vertigo Flowers” e “Eaten by Worms”); orme nostalgiche che, proprio per quel malessere poco fa citato, ricordano gli Smashing Pumpkins; una pioggia di incubi (altro che dream pop) e vocalizzi Shoegaze; distorsioni e tante presenze Noise che spaccano il Locomotiv e le nostre orecchie: grazie ai Nothing ci perdiamo tutti (a parte il ragazzo-pirla che corre e decide improvvisamente di buttarsi dal palco: “I hope the guy is alive” entra a far parte delle  liriche della band) in una storia variopinta che abbraccia accuratamente una grandissima fetta degli anni ’90.

 

 

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