Quel bagaglio che pesa meno: gli Amsterdam Parkers e il viaggio verso “Amara”

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Con “Amara”, il nuovo singolo disponibile dal 5 dicembre 2025, gli Amsterdam Parkers trasformano sette anni di cadute e ripartenze in un racconto sonoro che profuma di verità. Divisi tra Milano e Teramo, la band porta alla luce un intreccio di fragilità quotidiane e lente consapevolezze che si sedimentano nel tempo. È un brano che chiude un percorso, ma allo stesso tempo apre nuove finestre sul loro immaginario fatto di sale prove umide, amicizie nate in luoghi senza opportunità e battaglie interiori che tutti viviamo.

In questa intervista proviamo a capire come si arriva a riconoscere il peso del proprio bagaglio e cosa significa accettarlo.

“Amara” viene presentato come il punto di arrivo di sette anni di vita e musica: cosa vi siete portati dietro e cosa avete lasciato andare?

Una sola parola, cambiamento. Dai 20 ai 30 anni è la fase in cui passi da studiare a lavorare. Una fase molto delicata. Anche il nostro progetto è cambiato: il modo in cui facciamo musica e il modo in cui ci relazioniamo tra di noi.

Avete parlato di situazioni che sembrano non finire mai. Qual è stata la vostra più grande prova di resistenza artistica o personale?

Continuare a suonare insieme. C’è stato un periodo in cui questo sembrava impossibile. Poi siamo rientrati in sala prove e abbiamo iniziato a lavorare al disco. Ci siamo presi il nostro tempo ed eccoci qua.

Quando avete capito che quel bagaglio iniziava davvero a pesare meno?

Musicalmente parlando, quando abbiamo iniziato a portarlo insieme. Abbiamo preso questo progetto senza pressioni, senza aspettative e con un unico obiettivo: fare il disco. Dopo poco tempo è nata “Amara”.

Quale passaggio del vostro percorso ha influito maggiormente sulla scrittura di “Amara”?

Dopo qualche settimana in cui stavamo lavorando ai vecchi brani, è nata “Amara”. Quando abbiamo rimesso in discussione anche i vecchi brani: è stato un po’ come rincontrarsi dopo tanto tempo, sempre gli stessi con storie diverse.

Come si intrecciano fragilità personali e lavoro di band, soprattutto vivendo in due città diverse?

Ci vediamo e ci sentiamo anche fuori dalla sala prove, quindi è un processo abbastanza naturale. Anche vivendo lontani, riusciamo ad essere vicini.

Dal punto di vista sonoro, cosa distingue “Amara” dal resto del disco “Basta Dirlo”?

È forse l’unico brano che, nonostante la malinconia che si percepisce, è in maggiore. Anche per ciò che vuole comunicare, è un brano che attualmente ci rappresenta, a differenza di brani scritti un po’ di anni fa.

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