La scelta di affrontare il tema della chiusura attraverso un linguaggio contenuto, misurato e privo di eccessi rispecchia una visione artistica che privilegia la lucidità. Non c’è alcun intento melodrammatico nella costruzione del brano, così come non c’è la volontà di creare un immaginario cupo o provocatorio; la decisione di usare il funerale come metafora si rivela, piuttosto, un modo per descrivere una presa di posizione, un ordine emotivo che intende mettere fine a ciò che non serve più. Questa prospettiva è ulteriormente rafforzata dal video che accompagna il singolo, in cui il racconto visivo si muove con la stessa attenzione alle sfumature che caratterizza la scrittura musicale.
MAIA nasce quindi come un’entità narrativa, un filtro che consente all’artista di separare la propria esperienza dalla forma con cui questa viene restituita al pubblico. Il progetto diventa un contenitore dove confluiscono intenzioni, sensazioni e percorsi di crescita, mantenendo sempre un equilibrio tra autenticità e costruzione formale. Il funerale è il capitolo che permette di osservare con maggiore chiarezza questa dinamica: non solo un brano, ma un passaggio simbolico che apre lo spazio per ciò che verrà. Questa intervista intende approfondire la visione, le scelte e la dimensione personale che hanno portato alla nascita di MAIA e alla costruzione del suo nuovo racconto.
Cosa ti ha spinto a creare Il Funerale come prequel narrativo di Cuore?
Cuore raccontava ciò che rimane dopo l’impatto, la cicatrice già formata. Ma sentivo che mancava l’istante in cui tutto si spezza, quel momento sospeso in cui sai che qualcosa è finito ma non hai ancora trovato un nome per il dolore. Il Funerale nasce per restituire quel vuoto: non un inizio né una fine, ma il punto di rottura. È un prequel perché la memoria emotiva non è lineare: torna indietro, salta, ricostruisce. E volevo che l’universo di MAIA seguisse quella stessa logica interiore.
Come hai scelto di sviluppare la storia attraverso un reverse storytelling invece di una narrazione lineare?
Perché è così che ricordiamo davvero. Prima avvertiamo la mancanza, poi cerchiamo il momento esatto in cui tutto è collassato. Il reverse storytelling non è una scelta tecnica, ma emotiva: permette di seguire il percorso del sentimento, non quello della cronologia. È una forma di archeologia del cuore. E mi consente di espandere il mondo di MAIA come una costellazione di frammenti, non come una storia con un prima e un dopo rigidi.
In che modo pensi che questo approccio influenzi l’esperienza dell’ascoltatore rispetto a un singolo tradizionale?
L’ascoltatore diventa parte attiva, quasi un interprete. Chi ha visto Cuore riconosce i dettagli e li collega al passato. Chi arriva da Il Funerale vivrà Cuore come la conseguenza naturale di ciò che non è stato elaborato. Entrambi i percorsi funzionano: l’esperienza diventa più stratificata, più circolare. Non si tratta solo di guardare un video, ma di ricostruire un’emozione.
La protagonista resta immobile mentre il mondo si muove intorno a lei: quale significato emotivo volevi trasmettere con questa scelta visiva?
È la rappresentazione della dissociazione. Quando vivi uno shock, fuori tutto procede: le persone passano, le luci scorrono, i suoni continuano. Ma tu resti ferma, come se il tempo interiore avesse smesso di funzionare. La staticità del personaggio in contrasto con il movimento del mondo è proprio questo momento sospeso: non sei ancora nel dolore, ma non sei più nella vita di prima. È l’anestesia emotiva che precede il crollo.
Il rosso ricorre come simbolo in entrambi i video: come hai pensato al filo cromatico e alla continuità narrativa tra i capitoli?
Il rosso è ciò che pulsa ancora. In un universo visivo dominato da toni freddi, è l’unico calore che resiste. In Il Funerale è quasi trattenuto, come se cercasse di non farsi vedere. In Cuore invece esplode e diventa centrale. È l’evoluzione cromatica dell’elaborazione emotiva: prima provi a negare la ferita, poi la riconosci come parte della tua storia.
Che ruolo ha l’intelligenza artificiale nella costruzione della narrazione e del mondo visivo di MAIA?
L’AI è uno strumento, non l’autore. Non crea la visione: la traduce. Ogni scena, ogni scelta estetica e narrativa nasce da me, dalla mia scrittura e dalla mia ricerca visiva. L’intelligenza artificiale mi permette semplicemente di materializzare questa visione con un linguaggio cinematografico e con la libertà di un progetto indipendente. L’universo emotivo di MAIA è umano: l’AI è il mezzo che uso per renderlo visibile.