Dall’architettura al palco, la nuova avventura di Alessandro Ponte

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Il singolo Sofia non lo sa segna l’ingresso ufficiale di Alessandro Ponte nel mondo della musica. Genovese, laureato in Architettura e titolare di uno studio attivo dagli anni Ottanta, Ponte ha firmato importanti progetti di restauro e design, collaborando anche con realtà di prestigio come lo studio di Renzo Piano. Parallelamente, la chitarra è sempre stata la sua compagna di viaggio, alimentando una passione che oggi diventa racconto pubblico.

La canzone, pubblicata da Level Up Dischi, è un delicato omaggio alla figlia, colta negli anni dell’infanzia con uno sguardo attento e affettuoso. Su sonorità di bossa nova, il brano restituisce un’emozione personale ma condivisibile, grazie a un testo sobrio.

Con questo debutto, Ponte dimostra che le arti possono dialogare tra loro e che non esistono limiti temporali per dare voce alle proprie passioni.

Pubblicare un singolo a età matura è una scelta coraggiosa: quali reazioni ti aspetti da parte del pubblico e del mondo musicale?

Sono pienamente consapevole che fare musica e proporla al pubblico ed al mondo musicale odierno non è già di per se una cosa semplice, considerando l’età che ho, sembrerebbe quasi paradossale; tutto ciò nell’ottica di “fabbricare” musica che vende secondo gli schemi commerciali ad oggi vigenti, musica che deve raccogliere consenso in ogni fascia d’ascolto e quindi piaccia a più orecchie possibili.  Per rispondere alla domanda, non mi aspetto un giudizio positivo da parte di tutti, ma spero almeno di ricevere un buon riscontro da parte di alcuni estimatori. Probabilmente spero che sia più importante la qualità della musica (sperando che la mia sia considerata di qualità) rispetto all’età del suo autore.

 

Il tema della paternità è centrale nella canzone. Quanto la tua età e il tuo percorso di vita hanno influenzato lo sguardo che offri su questo argomento?

Aver avuto una figlia in età matura ha influenzato in modo determinante le emozioni che mi hanno avvolto nell’evento e di seguito. Ad una certa età si assaporano le cose in modo completamente diverso; cose che da giovanissimi potrebbero sembrare degli impedimenti ai propri programmi di vita, come sposarsi o avere figli, in età matura diventano eventi importantissimi, direi “divertenti” nel significato etimologico del verbo “divertere”, fare una cosa diversa. Tutto ciò mi ha procurato emozioni ed entusiasmi che penso avrei vissuto diversamente in età più giovane.

 

Nel brano emerge un equilibrio tra intimità e universalità. Come hai lavorato per mantenere questa delicatezza nel racconto?

Ho lavorato nel modo più naturale ed istintivo possibile; in parte ho avuto lo stimolo di significare in una canzone le mie grandi emozioni; in parte perchè penso che sia il mio modo di lavorare attraverso “immagini metaforiche” che credo a volte siano anche ironiche. Il linguaggio che uso in questo brano rispecchia molto quello che uso normalmente per comunicare nella vita, mi diverto molto a vedere le cose da un punto di vista ironico e personale e di conseguenza usare un linguaggio analogo.

 

Negli anni hai coltivato una grande varietà di ascolti, dalla bossa nova al jazz fino al pop e al rock. Quanto tutto questo bagaglio si riflette nella tua scrittura?

Credo sia naturale che la musica che un autore compone derivi in tutto od in parte dalla musica che ha ascoltato durante la sua vita; naturalmente questo è accaduto anche a me, ponendo ovviamente più attenzione alla musica che aderisce ai miei gusti. Ho sempre apprezzato maggiormente la musica con armonie, melodie ed arrangiamenti originali e complessi; nel fare musica spero di aver percorso questa strada, cercando anche di avere un linguaggio personale, ma penso che questo debba giudicarlo chi ascolta i miei brani. Io ho sempre avuto un orecchio iper-critico nei confronti della musica che ho ascoltato e che sto ascoltando, quindi ho utilizzato gli stessi parametri critici nel comporre la mia, cercando in principal modo l’originalità,  l’accordo che l’orecchio non si aspetta o parole e rime il meno pedisseque possibili.

 

Come vivi il rapporto tra il tuo lavoro principale di architetto e la nuova avventura come cantautore? Li consideri mondi paralleli o comunicanti?

In realtà ho sempre vissuto la musica come la parte “indisciplinata” e libera della mia vita; ho approfondito gli studi prima sul disegno (altra mia grande passione) e sull’architettura in modo tradizionale e completo, ho anche insegnato all’università di architettura, mentre ho sempre suonato la chitarra utilizzando esclusivamente il mio orecchio musicale, “tirando giù” accordi e note (nota per nota, non c’erano i cellulari con i “tutorial”) dai dischi e da tutta la musica che ho ascoltato fin da bambino, senza che nessuno mi abbia mai spinto a farlo. Nonostante mia madre sapesse leggere il rigo musicale, io non ho mai voluto che mi insegnasse, proprio per staccare la “disciplina matematica” dalla musica, per comprendere la musica solo attraverso l’ascolto con le mie orecchie. Ad oggi quella che tu chiami “nuova avventura” è per me la naturale conseguenza di ciò che ho fatto per più di 50 anni.

 

Guardando avanti, ti piacerebbe portare “Sofia non lo sa” anche dal vivo o immaginarlo più come un lavoro da studio?

Mi piacerebbe certamente portare tutta la mia musica dal vivo, la mia musica nasce suonando la chitarra od il piano “acustici”, avendo anche un’idea di massima sul tipo di arrangiamenti da fare prima di realizzarli poi in studio. Credo quindi che suonare questo brano dal vivo sarebbe molto interessante, potrebbe essere anche il modo per utilizzare “sfumature” diverse nell’arrangiamento, naturalmente con il piacere di suonare assieme ad altri musicisti.

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