Dal 2000 a oggi, il panorama musicale italiano ha vissuto profonde trasformazioni, ma un elemento resta ancora troppo spesso sottovalutato: la presenza femminile nelle vesti di autrici, compositrici e protagoniste delle scene. Il Lilith Festival della Musica d’Autrice, nato a Genova e giunto nel 2025 alla sua quattordicesima edizione, risponde da anni a questa lacuna, con un progetto artistico e culturale che mette al centro le voci delle donne nella musica, nelle loro infinite forme e sfumature.
Quest’anno, la manifestazione torna con una programmazione ambiziosa, strutturata e profondamente variegata: dal 20 luglio al 1° agosto, la storica Villa Durazzo-Bombrini di Genova Cornigliano sarà il cuore pulsante del festival, affiancata dagli eventi ospitati al Teatro del Chiostro di Sant’Andrea, nel centro della città. In cartellone nomi di spicco della scena italiana e internazionale – da Angela Baraldi a Beatrice Antolini, da Francamente alle CocoRosie – accanto a giovani artiste e progetti emergenti che spaziano tra rock, elettronica, indie, cantautorato e performance.
Ma il Lilith Festival è molto più di una rassegna musicale: è uno spazio di creazione, confronto e riflessione, come dimostra l’esperienza laboratoriale di “Gocce 2025”, spettacolo collettivo che inaugurerà il programma principale con una riflessione artistica sul femminile, la memoria e il corpo.
Dietro questa proposta, c’è un team organizzativo che lavora con costanza e visione, unendo passione, competenze e una chiara missione culturale. Le abbiamo incontrate per esplorare il dietro le quinte del festival, approfondire le scelte di questa edizione e riflettere sul significato – oggi – di “musica d’autrice”. Un termine che non è solo genere musicale, ma atto politico, identitario e artistico.
Il Lilith Festival ha costruito negli anni un’identità forte, ma in continua trasformazione. Qual è oggi il suo posizionamento nella scena musicale italiana?
Lilith come associazione è nata anzitutto per sensibilizzare e colmare il gap di genere che ancora esiste, in ambito musicale come in tanti altri settori dello spettacolo e della società tutta. Questa rimane la prima mission, celebrata soprattutto nel Lilith Festival della Musica d’Autrice che giunge quest’anno alla quattordicesima edizione ed è divenuto un appuntamento musicale riconosciuto per la qualità della proposta musicale, oltre che per essere uno dei primi e più longevi eventi nati per valorizzare cantautrici e musiciste. Negli anni Lilith ha avuto un’evoluzione che l’ha presto vista passare da una dimensione prevalentemente locale al coinvolgimento di artiste (e artisti) di respiro nazionale e internazionale.
Un’altra delle nostre mission è valorizzare chi – in qualunque genere si riconosca – porti avanti un certo lavoro sulla “parola cantata” e/o di ricerca musicale, per questo organizziamo anche eventi che coinvolgono non solo autrici e cantautrici e come etichetta sosteniamo in generale talenti che crediamo meritino di essere conosciuti e valorizzati.
L’uso della parola “autrice” nel nome del festival è una scelta precisa. Che significato ha per voi nel 2025?
Fino a pochi anni fa il ruolo che competeva alle donne nella musica leggera italiana era fondamentalmente quello dell’interprete, quello di chi canta canzoni scritte quasi sempre da uomini. Le cantautrici e le autrici c’erano ma erano una rarità. Oggi per fortuna le cose sono cambiate, ci sono molte più donne che assecondano la voglia di scrivere, comporre e presentare la propria musica. Crediamo però che le autrici e cantautrici abbiano ancora particolare bisogno di essere sostenute anche nella libertà di esprimersi senza rientrare in clichés che per le artiste donne restano più vincolanti che per i colleghi uomini.
A livello sonoro, il cartellone attraversa moltissimi territori: blues psichedelico, alt-pop, rap consapevole, folk elettronico. Come rispondono il pubblico e la critica a questa ampiezza stilistica?
Ci teniamo a mostrare che c’è una sempre maggiore varietà di stili e di scrittura tra le cantautrici, che non esiste un’unica musica “al femminile” ma artiste originali che meritano attenzione e quindi il nostro festival non può che essere eclettico da questo punto di vista. Nel possibile, cerchiamo di contestualizzare le serate in modo che chi non può o non vuole seguire tutta la manifestazione possa scegliere quelle che hanno un mood più confacente alle proprie preferenze musicali, ma abbiamo anche osservato che mescolare un po’ le carte fa bene tanto al pubblico quanto a chi si esibisce. Chi ci segue, addette e addetti ai lavori in primis, sa che ci interessa particolarmente chi ha qualcosa da dire e lo fa con coraggio, chi persegue in maniera onesta un percorso creativo che non è detto sia sempre nel solco del mainstream, non ci mettiamo paletti “di genere”, in questo senso.
Alcune artiste, come Beatrice Antolini o Giulia Mei, costruiscono spettacoli molto stratificati, visivamente e musicalmente. Quanto conta oggi il “live” nella valorizzazione della musica d’autrice?
Conta molto. Alla fine il palco decreta la possibilità di creare un legame vero col pubblico che non può passare solo attraverso i like sui social e nemmeno gli streaming (di vendite dei dischi meglio non parlarne proprio). Il live resta la cartina di tornasole di un coinvolgimento che può essere diverso da artista ad artista, ma comunque importante.
Crediamo che questa edizione sarà particolarmente interessante dal punto di vista performativo, molte delle artiste sul palco sanno starci in vesti diverse: Angela Baraldi regala live intensi grazie a una visceralità rock’n’roll che è stata rafforzata dalle esperienze attoriali; Beatrice Antolini è una musicista a dir poco completa, che ha completamente arrangiato e prodotto anche questo lavoro e ha accompagnato sul palco in qualità di polistrumentista artisti come Vasco Rossi e Manuel Agnelli; Elli De Mon ha accumulato una grande esperienza come one-girl-band e ha innestato un approccio blues-psichedelico su una solida formazione musicale; Giulia Mei sta letteralmente stregando il pubblico coi suoi live trascinanti; quanto alle Cocorosie, sono artiste che esplorano l’arte a 360 gradi unendo alla musica pratiche teatrali, alta moda e arte visiva. Ma regaleranno emozioni anche i nomi emergenti…
Le tematiche affrontate nel festival – libertà, comunità, introspezione, diritti – riflettono un’urgenza contemporanea. Come vi rapportate alle trasformazioni culturali e sociali in corso?
Provando a fare la nostra parte, ribadendo che esiste ancora un problema di sottorappresentanza delle donne e delle minoranze in ambito musicale come in tanti altri ambiti della società, che resta difficile per una donna, come per una persona apertamente omosessuale o trans, avere il giusto spazio e soprattutto consolidare un percorso artistico solido. Non ci interessa fare delle specie di “riserve”, ma dare spazio e visibilità altrove negati e soprattutto dare un segnale alle altre manifestazioni, la maggior parte delle quali il problema se lo fa ancora troppo poco. Nulla è scontato per quanto riguarda i diritti: c’è molto da consolidare e forse anche qualcosa da riconquistare. Ma vogliamo anche dare un segnale positivo, favorire il reciproco rafforzamento e la condivisione tra generazioni. Poi abbiamo molto da lavorare anche noi, su aspetti come quello della sostenibilità, dell’accessibilità… ma ci stiamo provando!