Ci sono titoli che non hanno bisogno di spiegazioni, che aprono una porta già socchiusa nella coscienza di chi li legge. Perdenti, il nuovo singolo del cantautore romano Bucossi, è uno di quei titoli che colpiscono immediatamente, perché sembrano parlare a tutti e a ciascuno in modo diverso. In un’epoca che celebra il successo a ogni costo, l’efficienza come valore assoluto e la performance come identità, Bucossi sceglie di raccontare chi resta indietro, chi cade, chi non arriva — o chi semplicemente non vuole correre nella direzione imposta. Ma lo fa con uno sguardo lucido e mai compiaciuto, sarcastico eppure empatico, giocando su un equilibrio sottile tra ironia e verità.
Il brano, che apre simbolicamente la strada a un nuovo lavoro discografico, nasce da un’intenzione precisa: accostare un testo amaro a una musicalità viva, quasi allegra. Una scelta di rottura, certo, ma anche di coerenza con una visione della musica che si nutre di contrasti, di ambivalenze emotive e narrative. Prodotto allo Strastudio di Roma con Giorgio Maria Condemi e Gianni Istroni, e arricchito dalla chitarra elettrica di Daniel Bologna, Perdenti non è solo un singolo, ma una dichiarazione di poetica. Una presa di posizione.
Dopo l’esperienza con il duo Alaveda e una seconda fase solista costruita brano dopo brano, Bucossi torna con una canzone che segna un nuovo inizio: creativo, sonoro, espressivo. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare da vicino il mondo che pulsa dentro Perdenti, e perché — a volte — perdere non è affatto una sconfitta.
Come descriveresti “Perdenti” a chi ancora non l’ha ascoltata, usando tre parole?
Sincera, sarcastica, necessaria.
Il tono sarcastico del testo si intreccia con una certa ironia affettuosa. È il modo con cui affronti temi difficili anche nella vita quotidiana?
Sì, assolutamente. L’ironia è una forma di sopravvivenza per me. È come se mi permettesse di dire tutto, anche le cose più pesanti, senza soccomberci. Mi aiuta a prendere le distanze dal dolore senza ignorarlo. Anche nella vita, sdrammatizzare è un modo per restare lucido.
“Perdenti” inaugura una nuova intenzione di produzione. Qual è questa intenzione, e cosa la differenzia dai tuoi lavori precedenti?
L’intenzione è quella di essere più essenziale, più diretto, meno “pettinato”. In alcuni pezzi precedenti c’era una cura quasi barocca, qui invece ho cercato l’urgenza, la verità. Anche nella produzione ho voluto togliere il superfluo, lasciare spazio al respiro, alle pause, alla voce quando si incrina.
Scrivere e cantare da solista, dopo l’esperienza in duo con ALAVEDA, ti ha portato a fare scelte diverse?
Tutto parte e finisce con me. Alessio (l’altro Alaveda) c’è sempre anche se non partecipa piú a tutto quello che faccio. E allo stesso tempo, ho capito l’importanza di scegliersi bene i compagni di viaggio, anche se non condividono il nome in copertina.
Nella canzone si sente una leggerezza apparente. È stato complicato raggiungere questo equilibrio in studio?
Sì, è stato un lavoro sottile. La leggerezza doveva esserci, ma non diventare superficialità. È come camminare su un filo: da una parte il rischio di risultare troppo leggeri, dall’altra quello di appesantire tutto. Con Giorgio, Gianni e Daniel ho cercato questo punto d’equilibrio fino all’ultima nota.
Se il disco che verrà dovesse avere una parola-chiave, oggi, quale sarebbe?
“Realtà” anche se è grottesca, imbarazzante, poco eroica e non autocelebrativa.