In un’epoca in cui la musica viene pubblicata a una velocità disumana (perchè sì, forse la musica non è più umana), diventa sempre più difficile distinguere ciò che esiste davvero da ciò che semplicemente “esce”. Ogni giorno centinaia di nuovi brani affollano le piattaforme, spesso creati per restarci solo poche ore: progettati più per gli algoritmi che per le persone. È il marasma dell’iperproduzione, dove tutto suona bene e niente rimane. In questa selezione abbiamo deciso di andare controcorrente. Abbiamo cercato sei progetti che vivono davvero: che provano i pezzi in sala, che salgono su un palco anche quando la sala è mezza vuota, che si bagnano di sudore e si portano a casa amplificatori, non solo numeri. Progetti che, forse, non conoscete ancora, ma che potrebbero regalarvi qualcosa di più raro della novità: la presenza.
Non troverete solo hype, trovate presenza viva, margine, rischio, umanità. Magari anche qualche imperfezione. Ma la musica, quando vale davvero, è così.
AMADO
Amado è uno di quei progetti che non si accontentano di scrivere canzoni: vivono la musica come una forma di presenza continua, anche quando il palco è spento. Cantautore italo-brasiliano, ha da poco pubblicato il singolo “Lucciole e ninfee”, una ballata notturna e malinconica che conferma la sua scrittura sospesa tra sogno e terra, tra luce intermittente e silenzi. Ma Amado non è solo un artista da studio o da streaming: è anche organizzatore di festival, concerti, rassegne, una figura che lavora nel sottobosco vivo della scena indipendente, quello fatto di locali, casse da montare, band da accogliere e pubblico da far sedere (o alzare).
Tra i suoi traguardi più significativi, l’ideazione e la direzione del festival Indieponente, rassegna ligure che ha portato a suonare, tra gli altri, i Meganoidi — un nome che ha fatto la storia dell’indie italiano. E ora si prepara alla seconda edizione, con l’entusiasmo di chi crede che la musica dal vivo non sia solo una parte del mestiere, ma il cuore stesso del fare musica.
Il suo progetto musicale nasce da un’urgenza reale: raccontare emozioni con delicatezza, costruire relazioni, prendersi tempo. In un momento in cui molte carriere si esauriscono in un paio di reel ben montati, lui continua a scegliere la strada lunga — quella che passa dalle piazze, dai circoli, dai festival che profumano di terra e sudore. E forse, per questo, ha già vinto qualcosa.
CASX
Dietro al nome CASX c’è molto più di una musicista: c’è una creatrice di mondi. Il suo ultimo singolo, “Crepe”, è una scheggia dolceamara che si apre piano e poi si allarga, come una frattura che lascia entrare la luce. Voce sussurrata, elettronica rarefatta, parole che arrivano dritte senza bisogno di alzare i toni. Ma ciò che colpisce di più è come ogni sua canzone sembri avere un’estetica propria, una pelle visiva: perché nella vita reale CASX è anche una art director, e questo le permette di mostrarsi oltre che farsi ascoltare. Costruisce immaginari per sé stessa e, per lavoro, anche per altri artisti. E si sente.
Il suo punto di forza è una voce riconoscibile tra mille — di quelle che, appena le senti, ti costringono a fermarti. E accanto alla voce, c’è la concretezza: la consapevolezza che per fare musica, spesso, la musica non basta. Serve avere cura del suono, sì, ma anche dell’immagine, della narrazione, delle relazioni. E lei lo fa con precisione e visione. In un panorama dove tanti progetti sembrano nati per caso o per algoritmo, CASX è un nome affermato che ancora si muove sottotraccia, ma non potrà passare inosservato a lungo. È una di quelle voci che non hanno bisogno di urlare per restare. Basta ascoltarla una volta, e ti resta addosso.
RICCARDO GILENO
C’è chi aspetta di essere scoperto, e chi invece parte. Riccardo Gileno ha scelto la seconda strada. Triestino di nascita, cantautore con radici che affondano anche altrove, si è costruito da solo un solido tour all’estero, senza booking, senza etichette, senza spinte dall’alto. Solo con la sua musica, la sua voce calda e la determinazione di chi sa che restare fermi a sperare non è un’opzione. È un esempio raro — e necessario — in un panorama dove ancora si coltiva l’illusione romantica della “chiamata” dall’alto. Gileno ci ricorda che non serve aspettare di essere salvati da una major per esistere davvero.
Da pochissimo è uscito il suo nuovo disco, From Beginning to End, un lavoro intimo e intenso che racconta la vita non come successione di eventi, ma come flusso emotivo. Folk acustico, scrittura personale, nessuna pretesa di stupire — ma tanta voglia di restare. Gileno è uno di quegli artisti che fanno le cose con cura, senza rumore, senza filtro. E che riescono a far sentire a casa anche molto lontano da casa.
NOT MY VALUE
In un momento storico in cui tanti si limitano a dire che “l’industria non gira più”, i Not My Value fanno la cosa più semplice e più difficile allo stesso tempo: si muovono. Duo dalla sensibilità musicale stratificata, si stanno costruendo un tour da soli, passo dopo passo, data dopo data, con la stessa cura e coerenza con cui costruiscono le loro tracce. Nessun lamento, nessun attesa che qualcuno si accorga di loro. Solo lavoro, contatti, chilometri, amplificatori caricati in macchina e sogni portati sul palco.
Il loro EP “dream – side a” è un manifesto sonoro della loro estetica: onirica ma concreta, morbida ma precisa, stratificata senza diventare criptica. È musica che chiede ascolto, che non si consuma in sottofondo. E anche se il loro suono ha un respiro internazionale, non stanno aspettando il colpo di fortuna dall’estero — lo stanno costruendo, tappa dopo tappa, nel circuito reale dei piccoli club. Una scelta che, più che romantica, è necessaria. Perché la musica vive solo se si muove.
MURIEL
In un panorama musicale spesso assuefatto alle logiche dell’it-pop e agli algoritmi delle piattaforme, MURIEL si muove in direzione ostinata e contraria. Con il suo EP MOMI, dimostra di avere una visione e una cifra stilistica che travalicano i confini nazionali: c’è qualcosa, nella sua estetica e nel suo suono, che la avvicina più a una star internazionale che a un prodotto dell’indie italiano. MURIEL costruisce immaginari visivi e musicali complessi, che sembrano ignorare le scorciatoie digitali per concentrarsi su una crescita organica, fatta di coerenza artistica e cura del dettaglio. Non si preoccupa di rientrare nelle playlist (anche se, ovviamente, oggi è un requisito importante e fondamentale per essere notati, noi stessi l’abbiamo trovata di recente in Fresh Finds, e ne siamo stati felici) di tendenza: preferisce tracciare la propria rotta.
Unico appunto: a oggi manca una solida presenza dal vivo, che sarebbe fondamentale per rafforzare il progetto e consolidare un pubblico reale. Inoltre, il nome scelto rischia di creare confusione con un’altra Muriel, artista e attivista molto seguita anche su YouTube, che da anni porta avanti un progetto musicale altrettanto valido e riconoscibile. Un cambio di nome avrebbe forse giovato alla distinzione tra i due percorsi.
ISYGOLD
Nel tempo in cui la musica indipendente sembra spesso ossessionata da visual, storytelling e strategie digitali, Isygold rappresenta un piccolo atto di resistenza. Cantautore e polistrumentista milanese, costruisce il suo percorso con discrezione e coerenza, lontano dalle dinamiche da vetrina. Il suo EP Popogatapec, uscito di recente, è un lavoro intimo, stratificato, che mescola sonorità synth pop e suggestioni alternative anglofone degli anni ’90 e 2000. I brani – tutti in inglese – evocano atmosfere sospese, a tratti oniriche, più vicine alla nostalgia e al desiderio che all’urgenza di farsi notare.
Ma la forza del progetto non è solo nella scrittura o nella produzione: è nell’attitudine. Isygold ha scelto di non puntare sulla costruzione dell’immagine o sull’iperpresenza online. Nessuna foto promozionale studiata a tavolino, nessun reel quotidiano. In cambio, c’è la volontà concreta di portare la musica dal vivo, di organizzare concerti, creare spazi di ascolto insieme ad altri musicisti della scena lombarda. È un approccio vecchio stile, ma è anche quello che, nel tempo, crea legami più duraturi.
NADIR
I Nadir sono una band rock che, per qualche strana alchimia, riesce a essere più incisiva quando spoglia i brani fino all’osso. Dopo Scighera liminale, un EP registrato dal vivo in acustico, il nuovo doppio singolo Leoben conferma la volontà di esplorare il suono senza piegarsi alle aspettative di genere. È una scelta curiosa per una band che lavora su strutture post-rock e atmosfere dense, ma che dimostra anche il rifiuto di impacchettarsi secondo formule riconoscibili.
Nessuna rincorsa a estetiche trendy, nessuna necessità di “fare numeri”: i Nadir si muovono nel tessuto vivo della scena lombarda, suonando ovunque sia possibile, costruendo una rete di ascoltatori più che una fanbase da sfamare a contenuti. Il loro percorso è fatto di coerenza e di rischio, e in un’epoca in cui tanti suonano per somigliare a qualcun altro, il fatto che scelgano di essere se stessi – anche in acustico – è tutt’altro che secondario.