Era da un bel po’ che non mi capitava di ascoltare un disco dove non ho davvero nessuna info, nonostante si tratti di un progetto presente (su Instagram, Spotify e tutto il corredo), e anche ascoltandolo, non ci ho capito molto di più: Evelina non ha volto, ha una voce maschile, a volte una compagna, è volte è quella di un bambino, ed Evelina quando parla è confusa, come una cantilena, come tanti paroloni shakerati insieme, si percepisce una confusione di pensieri, di parole. Chitarre vibranti con derive degli anni Novanta, ritornelli come quelli che urlavamo alla Festa Dell’Unità, dietro il carro dei nostri amici che avviava il cortei del Primo Maggio. Evelina forse è un manifesto generazionale, di questa distesa di Millenials senza Dio.
Nonostante questo disco mi smuova qualcosa, perchè mi riporta a quando ascoltavo i Tre Allegri Ragazzi Morti, Giorgio Canali, ma anche i Sick Tamburo (e molti altri di quella schiera da Miami, quando il Miami era il Miami), a quel periodo in cui quelle band di cantautorato rock erano tutta la mia vita, tutta la mia salvezza, percepisco però una sorta di frattura, tra me e Evelina, come se fosse una presenza di un passato lontano, rimasta lì, a rimunginare sulle sonorità di un tempo che non appartiene agli algoritmi, alle playlist di Spotify, come se, senza volto e senza speranza, non avesse veramente un luogo definito nel mercato editoriale. Non da meno la sua poca volontà di esporsi: non un genere preciso, non una tematica precisa, ma solo un insieme di buonissimi ingredienti, che però rimangono chiusi in frigo. Mentre ce ne andiamo in vacanza.
Un prologo con una voce di un bambino, parole altisonanti che ci portano verso una piccola ossessione, orecchiabile, il racconto di un’anima maledetta dal titolo “Idroscalo“, una morte, e poi accenni di folk, feste in piazza, una tromba, accenni anche dei Perturbazione in “Notte di nessuno“. Le voci cambiano, non sembra neanche la stessa band del brano prima. Si prosegue con “Icaso&Sisifo“, qui ci sono Marlene Kuntz e Ministri. Faccio fatica a continuare, è come se i testi siano completamente sconessi dalla musica, come se si stesse parlando di cose altissime, ma senza averle vissute. Di chi è questo dolore di cui cantiamo? Non lo sento. Ed è un po’ come ascoltare un disco di una band dei primi anni Duemila, rimasto lì, in una chiavetta USB, dimenticata chissà dove e ripescata durante il trasloco.
Piccola pace in “Vuoto arrendere“, ancora nuove voci in “Marta D“, bellissimo bridge, salto un paio di pezzi, finisco in “Nenia“, nuova voce, timbro fastidio. Comincio a sprofondare in un disco troppo lungo e senza focus. Il vero problema di Evelina, questo personaggio senza volto e portavoce di un messaggio generazionale, è che questo messaggio forse non esiste, e che questa spersonalizzazione musicale, dove non si assorbono cenni autobiografici nè emozioni antiche in cui identificarsi. Quando si parla de “il tuo tempo è per te” non sentiamo, non percepiamo, non capiamo l’interlocutore, ma solo la freddezza cosmica di un messaggio politico che però non arriva, ma ci sovrasta. Si parla di guerra? Forse. Si parla di lavoro? Forse. E come si sente Evelina a riguardo? Non si sa. Da ascoltatori ne usciamo affaticati e confusi.
Abbiamo a che fare con musicisti capaci, con parti parlate e parti cantate, parentesi acustiche ed elettriche che si intrecciano, brani che cercano di lanciare messaggi universali, ad una manciata di ascoltatori che comunque non arriveranno alla fine del disco. Abbiamo a che fare con musicisti a cui auguriamo di innamorarsi presto di un altro progetto musicale, come quando si faceva da adolescenti, come si faceva negli anni Duemila, quando la musica diventava tutto.
Evelina perdonaci, non ci siamo innamorati, ma perchè non capiamo a chi stai parlando. A quelli che ascoltavano l’alternative rock vent’anni fa? Di quando gli Afterhours erano in heavy rotation su MTV? Ma oggi Manuel Agnelli è ad X-Factor.
La sua dichiarazione è “Non ho strategie. L’amore e la rivoluzione non hanno bisogno di un business plan.”, ma forse un business plan è proprio quello di cui Evelina avrebbe bisogno oggi, per fare un salto di vent’anni e arrivare nel presente, e forse un po’ di psicoterapia per conoscersi meglio. Buona fortuna!