Siamo arrivati in quel momento dell’anno: a cavallo tra le uscite di Sanremo e l’annuncio delle line up dei festival, tra la fine dell’inverno e l’estate (i tormentoni e tutto il resto…) che ci sembra già imminente. In questo momento, ci sembra inevitabile perdersi le uscite più interessanti, dei nomi che probabilmente ritroveremmo a distanza di anni con la consueta domanda “Ma com’è possibile che questo non l’abbia ascoltato prima?“. Per l’occasione, ci siamo proposti come consiglieri: ecco 10 brani che probabilmente vi siete persi nell’ultimo periodo, e che vi faranno innamorare della scena underground in cui forse non eravamo più abituati a scavare.
“Sogni troppo grandi” di Nebulosa
Avete presente quel periodo che sicuramente avete avuto? Quello dove ascoltavamo quei gruppi che suonavano tutti uguali e che, nonostante questo, amavate incredibilmente. Erano i tempi dei tragitti sui mezzi pubblici, delle cuffiette con cui ascoltavamo di tutto, con un sound orribile, delle compilation fatte dagli amici con dentro i My Chemical Romance e i Green Day. Nebulosa sembra riportarci proprio qui, in questo mondo che ci sembrava così oscuro, ma che ora ci manca terribilmente, dove rock, emo, urban si condensavano in gruppi che si riunivano nelle piazzette, e che oggi si disgregano in singoli 30enni che fanno gli impiegati, e in un mondo come questo, disilluso e solitario, un brano come “Sogni troppo grandi” potrebbe fare molto bene.
Sognare per nebulosa diventa un inno punk rock dal sapore energetico, e “sogni troppo grandi” è un inno a lottare per ciò che si vuole, che si desidera essere, e non far tacere la voce dentro di noi che ci spinge alla ricerca costante di ciò che siamo davvero. nebulosa immerge il suo punk nuovamente nell’elettronica con rimandi alla scena “-core” (Bring Me The Horizon, etc…), raccontando la sua vita e usando la sua voce in maniera moderna.
“Camminare sulla luna” di Vago
E a proposito di viaggi nel tempo, non possiamo che proporvi anche Vago che con queste parole e gli intrecci di chitarre elettriche, non fa che ricordarci la fiorente scena alternative degli anni Novanta. “Camminare sulla luna” è un brano che parla di tutti noi, che ci sentiamo bloccati ed isolati, che non capiamo la persona che abbiamo di fianco, che ci svegliamo la mattina per chiederci se la persona che abbiamo di fianco sia una sconosciuta, o meno. Vago è un nuovo inizio, quello di Marco Fontana che avevamo già visto coinvolto in varie formazioni musicali, e che ritroviamo qui, solista, più solido che mai, stratificato di influenze e suggestioni.
Questo nuovo inizio si condisce di un immaginario cinematografico e che vuole raccontare l’amore, quello instabile: un gioco delle parti che a volte danzano all’ unisono altre si muovono su basi differenti, per molti un segreto di longitudine. Questo brano racconta il rapporto tra un viaggiatore da fermo e la sua metà, la sua ancora di salvezza. Legati dal sentimento, diversi e sempre in balia delle onde.
“La condivisione” di Luca Urbani
E se vi piacciono le storie di persone instabili, se siete mai stati insieme a una persona, senza sapere se eravate effettivamente insieme a qualcuno che potevate dire “vostro”, allora “La condivisione” di Luca Urbani potrebbe essere un altro di quei brani che ci sentiamo di raccomandarvi. Un brano oscuro e intenso, che la voce amica di Luca Urbani ci costringe ad ascoltare dall’inizio alla fine senza mai perderci, neanche un momento, un loop elettronico ma soprattutto emotivo che non fa che incuriosirci ancora di più verso un disco uscito a febbraio che probabilmente abbiamo sottovalutato e quindi perso. Maledetto ancora una volta il periodo di Sanremo, che di musica vera ha sempre meno da raccontare.
“La condivisione” è un elenco malinconico ed elettronico di ciò che condividiamo ogni giorno, un elenco che ci accompagna in una vibrante passeggiata per strade notturne e deserte. Un brano per tutti quelli che si sono innamorati, ma allo stesso tempo si sentono sospesi, apatici davanti alle notizie, all’amore e alla routine in cui siamo intrappolati. Nonostante le farfalle nello stomaco, pensieri osceni e vino rosso, il protagonista di questo brano sembra intrappolato in un loop musicale oscuro ed ipnotico: la solitudine, l’amore.
“Il cuore di Henry McLusky” di Marco Cesarini & Henry McLusky
E a proposito di oscurità, non potevamo non portarvi anche un progetto che non troverete mai nel circuito delle playlist Spotify, e probabilmente neanche in una testata come la nostra, ma che non potevamo che segnalarvi: la definizione musicale della musica noir, fiati in locali fumosi, film in bianco e nero, donne affascinanti e letali, e le atmosfere soffuso dei gialli degli anni Quaranta. Ispirato anche dal retaggio cinematografico di David Lynch, Marco Cesarini impacchetta un disco dal titolo “Chi è Antelope Cobbler?” descrivendo così un mondo a sè che potrebbe essere la colonna sonora perfetta per un Twin Peaks nostrano: il clima mutevole, l’umidità persistente, un mistero di provincia, e il jazz che non è più jazz ma noir. Il noir che non ha musica, ma che ora forse sì.
Questo sarà il primo di due nuovi album che usciranno durante il 2024, il disco è stato mixato e masterizzato da Marc Urselli, fonico storico che vive e lavora a New York (East Side Sound Studios), e “Il cuore di Henry McLusky“, alter ego dello stesso Cesarini, ci sembrava il punto giusto da dove iniziare.
“Possibilità” del Sig. Solo
Tutt’altro genere quello del Sig. Solo che apre il suo nuovo disco con “Possibilità“, un brano pop e danzereccio, di quelli tristi che partano inaspettatamente a fine serata e che ti fanno venire ancora voglia di ballare. Gli anni Ottanta, invadenti, con la loro estetica, con i loro ritmi serrati e l’oscurità dei synth giusti. Questo brano, in particolare, che è un brano amarcord sentito e voglioso che va a indagare musicalmente il concetto, abusato ma mai stancante, del carpe diem. Rincorrere una possibilità, una donna, una bellezza, un momento, una serata. La voce che stiamo ascoltando è quella dell’alter ego di Andrea Cipelli, già celebre per la sua collaborazione con Dente, Baustelle e L’Officina della Camomilla. Il disco vanta la preziosa collaborazione di Andy Bluvertigo.
“Xolo Main Theme” di Alberto Mancini
E in questo elenco dove cerchiamo di segnalarvi brani di più generi e contesti, non possiamo non tralasciare anche l’ultima fatica del pianista e compositore Alberto Mancini (Deaf Kaki Chumpy) che da Milano si è rifugiato nella vicina (quanto fredda e lontanissima Svizzera) per lavorare ad alcune colonne sonore di videogiochi, l’ultima quella di “XOLO“. Qui Mancini ha dovuto confrontarsi con diversi stati d’animo musicali, molto diversi tra di loro, ma che dovevano convivere nella colonna sonora. E sempre qui troverete elementi di musica nativa centro-americana, il sentimento di redenzione e sacrificio, e l’eroismo del personaggio di Xolo.
La cosa che più colpisce è l’incredibile coinvolgimento che si può trarre da questo disco, anche a prescindere dal videogioco, a cui non abbiamo neanche messo mano. Un viaggio esotico ed estremo, di quelli che non faremo mai, un loop ipnotico e visionario, allucinato a tinte pastello. Davvero magnifico.
“Uomini forti” di Colombo
Torna anche Colombo, che avevamo già intercettato per il suo lavoro ispirato alle poesie di Emily Dickinson, incredibilmente in italiano, ed incredibilmente con un brano forte, che lo espone su tematiche su cui è difficile farsi porta voce, dal punto di vista maschile: la fragilità, la fatica di doversi mostrare sempre forti, perforanti, e tutte le conseguenze del boys don’t cry. Voce cristallina, un piano magnetico che ci assorbe facilmente fino al ritornello, scuse che non possiamo che condividere, un urban lirico e che non si filtra di autotune e maschere e che forse ci mancava davvero.
È faticoso porre dei limiti all’empatia, alla sensibilità, alla sofferenza, al modo di vestirsi o al prendersi cura di sé stessi: “Molte di queste cose fanno parte di me, di alcune mi sono liberato, altre non le ho mai avute: il fatto di non aderire all’ideale di virilità maschile, un tempo mi ha fatto sentire in difetto e inadeguato; poi il mio percorso di vita, le esperienze, le letture, le persone che ho incontrato, mi hanno fatto comprendere che questi costrutti sociali si possono distruggere, superare, o semplicemente ignorare.”
“La noia” di Angelo Romano
Un tempismo particolare per un brano che si intitola “La noia“, vista la recente vittoria di Angelina Mango a Sanremo. Ma questa noia, quella di Angelo Romano, è decisamente un’altra cosa. Irruente, fastidiosamente intrigante, stonare per non annoiare. Angelo Romano ci racconta una storia scanzonata, arrabbiata, comune, di quando si finisce ad annoiarsi, di quando non ci torna più niente. Una chitarra acustica e una voce graffiante, diventano gli ingredienti principali di questo brano che affonda le radice nella tradizione popolare, e che punta all’autobiografia musicale condivisa. Ci piace, e non capiamo neanche bene perchè.
Un nuovo capitolo che ci avvicina alla pubblicazione di un nuovo disco, e che ci svela uno spaccato di vita autobiografico dello stesso Angelo che racconta che “La noia” è stata ispirata “… da una relazione nella vita reale con una partner che trovava molte cose nella vita “noiose”, me compreso probabilmente.”
“Fear makes you pale” dei Monolith Grows
Una voce profonda e intrigante, quella di Carmelo Pipitone che ci accompagna negli antri della chimera buia dei Monolith Grows!, band del modenese che da pochissimo ha pubblicato un nuovo album di cui vi proponiamo proprio la title-track. Un tunnel in cui sprofondiamo con una forza a cui non possiamo opporci: gli ingredienti sono quelli della scena rock anni Novanta, il parlato dei Massimo Volume, ma anche le strofe delle influenze di respiro internazionale. Un’assolo di chitarra memorabile quando ruffiano ci coccola in questo disco che sa di cosa: di adolescenza, dei dischi rock che compravamo e che cercavamo, di quando non potevamo ascoltare band italiane perchè le consideravamo sfigate, di quando di sorprendevamo di quanta roba bella potevamo produrre, nonostante la nostra italicità.
“Fear makes you pale” vuole descrivere come essa prenda possesso delle nostre vite e se non contrastata possa diventare la normalità, rendendoci “pallidi” e conformi. Ritornello malinconico e ben marcato lo rendono il brano più “pop” della tracklist. Assolo sul giro in 5/4 e cori nei ritornelli sono proprio di Carmelo Pipitone.
“Flattener” degli Sneer
Concludiamo questa carrellata con un nuovo brano senza genere, di quelli con cui ci eravamo promessi di condire questa playlist. Oggi. non possono mancare gli Sneer: dove il jazz non è jazz, e la psichedelia si balla come a una festa in piazza, dove il sax ha il volto di una carpa perplessa e dove veniamo incontro alla nuova creatura musicale dell’etichetta Record Y. Questo è un brano che racchiude in breve lʼestetica della band: con un tempo serrato a 160 bpm, un sax ripetitivo alla melodia e il basso sintetizzato, il pezzo si evolve in 2 parti principali, presentando la vena compositiva del trio. Pochi riff cantabili e apertura allʼimprovvisazione sorreggono una dose di groove ben dichiarato e martellante, il tutto con unʼattitudine lo-fi.
Di loro ci piace che potrebbero essere la colonna sonora perfetta di una festa in casa, che farebbero scoppiare il delirio e manco ce ne accorgerebbero, che potrebbero piacere al nostro amico musicofilo un po’ snob, alla nostra ragazza che non conosce niente, ma anche a nostro padre.