Un immane muro sonoro che dagli anni ’60 arriva fino agli anni ’90, racchiudendo tutte le influenze ed evoluzioni musicali di questi ultimi anni.
Al concerto de The Limiñanas al Covo Club di Bologna, lo scorso sabato 16 marzo, il pubblico attende un duo, Lionel e Marie, magari accompagnato da alcuni basi o un paio di altri strumentisti: no; no, perché sul palco strettino del locale bolognese ci saranno in tutto ben SETTE STRUMENTISTI prontissimi a costruire quel muro sonoro poco fa citato.
La parte strumentale, oltre a quella dei cori e vocale, ovviamente, ha un impatto tangibile: molte sono le influenze e troppi sono i generi presi a riferimento questa sera.
La band ha all’attivo sei album che passano da musica Pop stile Yé-Yé a un genere analogo al Psych-Rock; da quest’attitudine più leggera si arriva, subito dopo, a un Garage-Rock scatenato, inaspettato e piuttosto impulsivo.
Le influenze trattate passano da un giro di basso introduttivo che, in maniera alquanto inevitabile, mi ricorda “Day Tripper” dei Beatles fino a distorsioni, vocalizzi sensuali e tastiere che, invece, mi fanno pensare ad alta voce, a circa metà concerto e molto prima della loro cover di “Gloria”: “Questa roba qui, mi ricorda un sacco i Them”.
In primo piano, inoltre, verrà messa in evidenza la loro passione per band con stile Dandy Warhols e, soprattutto, Brian Jonestown Massacre, gruppi che permetteranno a The Limiñanas, grazie agli altri riferimenti poco fa elencati, di creare e disfare questo loro muro sonoro in continuazione e nel corso del loro show.
La loro macchina da guerra principale è l’utilizzo della chitarra che, oltre a permettere differenti arrangiamenti, si muove intorno a una batteria e a una linea ritmica minimalista o altri strumenti (ukulele, maracas, tamburelli): quello che ne verrà fuori è semplicemente un gran bel trip psico-fisico.
Anche le voci, unita alla strumentazione, subiscono numerose variazioni: pop Yé-Yé, sensualità che riprende sia una Jane Birkin che una Shirley Manson entrano, poi, in contrasto, con vocalizzi nebbiosi tipicamente My Bloody Valentine.
Non mancano sonorità, sempre comprese in quell’arcata di anni tra 60’s e 90’s, che vorrebbero essere una “I don’t wanna be your dog”, ma in una versione molto più attuale, come se la canzone di Iggy la si volesse trasformare in una dei Joy Division, o già dei suddetti The Brian Jonestown Massacre.
L’evoluzione musicale che si coglie all’interno di questo show, insomma, ha dell’incredibile e i The Limiñanas lo trasmettono senza troppe moine al pubblico entusiasta che li segue: l’intento principale della band è quello di creare un muro sonoro sempre più alto e irraggiungibile; la band vuole arrivare a quella specie di “illuminazione” a cui molti artisti del passato aspiravano, ma lo fa con il solo utilizzo di strumenti e non attraverso le droghe (o, almeno, questo è quello che vediamo sul palco).
The Limiñanas, insomma, ci inebriano con le loro continue sperimentazioni, tra musica Yé-Yé in contrasto a strumenti che gridano a più non posso e cercano di liberarsi.
Band contagiosa, davvero interessante e incredibile: se ve la siete persi, beh, il consiglio è quello di cercarla in giro per qualche festival.