Festival Life: intervista a Giovanni Sparano per il Barezzi Festival

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Il Barezzi Festival, considerato la kermesse più chiccosa e poliedrica del Gran Ducato di Parma, giunge alla dodicesima edizione, e vanta un carnet di oltre 200 ospiti internazionali e nostrani come Franco Battiato, Wim Mertens e, quest’anno, il sommo Paolo Conte.
Si differisce dalla maggior parte dei festival italiani per la scelta audace di location suggestive di gran classe, tra le quali l’auditorium Paganini di Parma e il teatro Verdi di Busseto, e per una line up variopinta che accontenta davvero chiunque.
Un connubio di suoni, musica classica e sperimentale, luoghi e scenari che non si limitano alla partecipazione passiva dello spettatore, ma lo coinvolgono in un incontro sensoriale che regala ricordi duraturi nel tempo.
Ovviamente, per maggiori informazioni e per placare la vostra curiosità sui prossimi eventi, potete visitare il sito ufficiale del Barezzi Festival. https://www.barezzifestival.it/

Entusiasti di farci raccontare qualche chicca esclusiva, abbiamo intervistato Giovanni Sparano, per sapere di tutto e di più su quello che ruota attorno al festival parmigiano per eccellenza.
Ecco qui la nostra interessante chiacchierata, ricca di passione, sogni e motivazione.

– Come è nato il Barezzi Festival? La storia del personaggio da cui prendete il nome, è particolarmente sentimentale.
C’è tanto di me in questo festival.
Per caso mi sono avvicinato alla musica colta mentre ero studente, facendo la comparsa al Teatro Regio in svariati spettacoli, tra cui l’opera “Il Trovatore” di Giuseppe Verdi, ed è stato un amore a prima vista per questo luogo incantato.
Così, mi sono appassionato alla vita di Verdi, sebbene mi ritenga un Pucciniano convinto, e ho conosciuto la storia di grande generosità di Antonio Barezzi, in cui c’è tanto meridione.
Io vengo dalla provincia di Salerno e mi sono detto che se al Sud ci fossero tanti Barezzi, chissà quanti talenti riuscirebbero ad emergere.
Successivamente nel 2007, già proprietario del Gran Caffè dei Marchesi a Parma, decisi di organizzare un concorso musicale dedicato proprio alla figura di questo galantuomo.
L’idea ebbe un buon seguito, e mi convinsi a creare il Barezzi Festival. Mancava però quel quid in più per la svolta vincente.
Ricordai che Franco Battiato aveva portato in scena la sua grande opera “Genesi” proprio al Teatro Regio.
Molto umilmente gli mandai un’e-mail, spiegando la mia idea per il Festival, e chiedendo se avrebbe voluto partecipare attivamente alla realizzazione dell’evento.
Rispose. Mi invitò per parlarne a casa sua a Milo.
Un sogno inaspettato ma sperato.
L’anno dopo partecipò gratis al Festival, e le istituzioni, data l’eccezionalità dell’accaduto, decisero di finanziarci.
Parma è una città piccola, ma con un potenziale enorme: è al centro dell’Europa, e ha un patrimonio culturale incredibilmente ampio. In più è un luogo con una storia legata al melodramma.
Grazie a queste sue deliziose qualità, ho avuto la fortuna di avvicinarmi al mondo del teatro.
Volevo quindi dare questa esperienza ad altri, e meravigliare chi ancora non conosce questa città a cui devo tanto. Su queste basi il capoluogo del Barezzi Festival, non poteva essere che Parma.

– La vostra line up va dal jazz alla musica classica all’elettro music, con ospiti emergenti e internazionali. Come scegliete il giusto equilibrio nell’alternare le band?
L’idea è di portare la non-lirica nei luoghi della lirica.E lo facciamo scegliendo artisti che rappresentano jazz, musica d’autore, rock, elettronica.
Decidiamo prima gli headliner, poi passiamo alla scelta degli artisti di musica d’avanguardia, con un occhio di riguardo per il cantautorato italiano; abbiamo avuto tra i tanti, Calcutta, Thegiornalisti e Levante, quando ancora non erano così affermati.
Creiamo quindi un mix di generi che incuriosisce e ha grande varietà, lanciando ciò che è contemporaneo e ospitando artisti che nel tempo restano coerenti al loro percorso musicale.
Lavoriamo inoltre con esclusive, come l’unica data italiana di Benjamin Clementine e Philip Glass nel 2016, e Michael Kiwanuka nel 2017.

– Avete scelto di portare la musica in luoghi eleganti e ricercati, invece dei classici locali o circoli più ruspanti. Come mai?
Quest’anno abbiamo addirittura accentuato questa scelta, mettendo il Teatro Regio come luogo fulcro del Festival. Vogliamo che i teatri riacquistino la loro funzione sociale. All’epoca di Verdi, anche i contadini andavano a teatro come punto di incontro, si parlava di politica, cultura, si organizzavano feste. Poi nel tempo questo culto si è perso a favore della freddezza dei concerti nei palazzetti, o negli spiazzi desolati.
Noi, grazie anche al nostro sponsor Tanqueray, cerchiamo di riportare svago e divertimento in luoghi culturali e di nicchia, rispettando la sacralità del posto.
Inoltre, per il Festival abbiamo anche personalizzato parti del teatro, come ad esempio il ripristino di luci fioche simili a quelle dell’epoca, che accentuavano l’atmosfera “colore giallo Parma”.
Il nostro obiettivo è sorprendere il pubblico, facendolo sentire in un club londinese o parigino, insieme ad artisti di altissimo livello come Paolo Conte, Nils Frahm e Anna Calvi.

– Il vostro archivio artistico vanta nomi pazzeschi per un festival moderatamente piccino. Spirito di competizione o siete piuttosto del clan “volere è potere”?
Assolutamente del “volere è potere”, la nostra forza è essere piccoli ma grandi. Basti pensare che nella seconda edizione ospitammo Franco Battiato e Stefano Bollani. Cerchiamo anche di creare un’amicizia con gli artisti, confrontandoci con loro, perché crediamo nella forza delle idee, oggi più che in passato. Ci vuole tanta passione, ma anche la certezza di non fare scelte azzardate.
Regolarsi con il budget e reinvestire gran parte di ciò che entra economicamente, per migliorarsi e portare dei piccoli sogni al Festival. E non smettere mai di crederci.

– Durante la scorsa estate avete inaugurato anche il Barezzi Summer Luce in Salento. Come avete ideato e progettato questo sgargiante evento?
È stata fortuna.
Gli amministratori del comune pugliese di Andrano, stavano partecipando alla data del Barezzi di Benjamin Clementine, e si sono letteralmente innamorati del Festival.
Hanno proposto di esportarlo nel Salento, e in pochissimo tempo abbiamo trovato un accordo.
Sono stati molto professionali e organizzati, e parliamo di un piccolo comune di 5000 abitanti, alla faccia dei luoghi comuni negativi che si hanno del Sud Italia.
Chiaramente, non essendoci là teatri o spazi simili a quelli parmigiani, abbiamo riadattato la concezione dei luoghi dove svolgere l’evento, mantenendo sempre la sorpresa e l’atmosfera da fiaba come punto di forza.
Il Festival infatti si chiama Luce proprio perché dove teniamo i concerti, è una rupe sul mare, il luogo più a est d’Italia dove nasce la luce, dal tramonto all’alba.
Si deve sempre essere innovativi e portare cultura e passione, anche in luoghi apparentemente sperduti.
Da convinto meridionalista, posso affermare che al sud c’è tanta forza buona che non viene sfruttata, o meglio, incanalata in maniera positiva e giusta.

– C’è un momento memorabile del festival che vorreste condividere con noi?
Ovviamente quando ci ha risposto all’e-mail Franco Battiato. Ricordo la grande gioia di quel momento.
Sì ci avevamo sperato, ma eravamo degli sprovveduti, e in fondo il primo anno avevamo organizzato un concerto in un bar. L’audacia nel portare avanti le nostre passioni, ci ha premiato.
Ai tempi non ero ancora addetto al settore, e ho appreso quella notizia da fan, per non parlare di quando l’abbiamo incontrato! Un incontro stupendo, e un grande uomo.

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