Non è certamente il primo
Emiliano Mazzoni ad abbinare un’opera artistica al blu. L’hanno fatto in tanti prima di lui: canzonettari e poeti, pittori e cineasti. Ma sono pochi quelli che al blu, anzi al blu profondo, hanno associato parole, suoni e immagini positivi.
Così è per il suo nuovo disco in uscita l’
8 luglio per
Private Stanze / Audioglobe: “
Profondo Blu”è il terzo lavoro del cantautore montanaro modenese ed è nato ancora una volta sui 1200 metri di Piandelagotti, a due anni dal precedente “Cosa ti sciupa”, e di nuovo con la produzione di
Luca A. Rossi (Üstmamò, Giovanni Lindo Ferretti).
Il primo singolo che anticipa la pubblicazione è “
La metà“, brano che racconta “
il sogno verso una società superiore dove il blu è solo l’orizzonte da rincorrere. Dove non si premeditano né le unioni né le divisioni, in favore forse delle moltiplicazioni“.
“Profondo Blu” è un disco di ballads, dodici una dietro l’altra col pianoforte molto più al centro che in passato e pochi altri strumenti (basso, chitarra, batteria) a sorreggere la voce al solito vagamente retrò e qui molto sciamanica – uno sciamanesimo da bar, si intenda – di Emiliano. Dodici ballate un po’ murder, un po’ love, un po’ spirituals. Senza un argomento preponderante, ma accomunate da due aspetti fondamentali: un’intensità feroce, essenziale, eppure sempre più accogliente ascolto dopo ascolto, e “una innata bontà, una certa comprensione ed udite udite anche ottimismo”.
Dentro “Profondo Blu” ci sono la bontà e l’ottimismo di chi è immerso nel “crederci”. E questo “crederci” è forse la chiave di volta dei brani del disco. Crederci grazie a una fede vitalistica in un annegamento d’amore con un’amante perduta (“Tiepido mare”) o crederci grazie alla fede in un mondo dove ogni cosa è a metà e ha bisogno de “La metà” mancante. Ma crederci anche come speranza, che che in “E tutti eran da qualche parte” diventa un franco augurio di morte a chi le brutture non le combatte ma le persegue. E infine crederci come incantamento che la morte governa (“Al mio funerale”, “S. Valentino nella cassa”) e come visione (“E tutti eran da qualche parte e stavan facendo qualcosa, / qualcuno faceva alla buona qualcuno anche alla schifosa”).
Crederci, insomma, come si crede a una piccola grande profezia di canzoni che magari non si comprendono subito ma ci attraversano le costole e i polmoni e ci lasciano lì, increduli, a crederci. A crederci che nel “Profondo Blu” si sta bene, perché può accadere di tutto, perché abbiamo la possibilità di fare accadere tutto e dobbiamo averne il coraggio. Il coraggio di saperne di più.
E’ così Emiliano Mazzoni: uno che quando scrive vuole sempre saperne di più. Immaginatelo in giro per le sue montagne ad annusare l’aria, ad ascoltare i suoni e i silenzi di ciò che esiste e di ciò che non esiste, a succhiare il mistero. Immaginatelo poi tornare a casa e scrivere cose che forse nemmeno lui subito capisce, ma sente. Ecco, tutto questo, e altro che non si può dire, è tuffarsi, bagnarsi, perdersi, vivere e morire dentro il “Profondo Blu”.
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